Quando, nell’ormai lontano 1993, il legislatore europeo promulgò la Direttiva Cee numero 42, l’intenzione era chiarissima: offrire a tutti i cittadini dell’allora Comunità economica europea importanti profili di salvaguardia in merito ad una materia, quella dei cosiddetti dispositivi medici, che sul fronte dei “requisiti essenziali di sicurezza e salute” dovevano garantire all’utilizzatore la massima salvaguardia possibile.
Il Parlamento italiano e l’allora ministero della Sanità si adoperarono affinché quella Direttiva fosse recepita con straordinaria fedeltà al progetto europeo (con buona pace per chi ci considera sempre e comunque gli ultimi della classe) e produssero un decreto di recepimento, il Decreto legislativo 1997 numero 46, che per vent’anni e più ha governato il nostro agire come “Fabbricanti di dispositivi medici su misura (gli occhiali da vista)” o come utilizzatori/distributori di dispositivi medici di serie o su misura (le lenti a contatto, in genere) realizzati da terzi.
Per circa vent’anni, dicevo, siamo stati senza saperlo (o meglio: in pochi lo sapevano) un’avanguardia europea. Poi è arrivato un nuovo Regolamento europeo, uguale per tutti e non interpretabile secondo gli standard in uso o le consolidate abitudini, sono arrivate le linee guida del Medical Devices Coordination Group e per noi molto è cambiato: in peggio.
In questo numero di Ottica Italiana tentiamo di raccontarvi una storia lunga e complessa (quindi la sfida è riuscire a far sintesi senza tralasciare aspetti importanti), che ha pesanti ripercussioni sul nostro ruolo e quindi riguarda tutti; una storia non ancora terminata perché, come vedrete se vorrete seguirci nel ragionamento, c’è ancora parecchio da fare per “rimettere tutte le cose al loro posto”.
Buona lettura.
Andrea Afragoli