L’associazionismo imprenditoriale in Italia sta attraversando da tempo una fase di profonda crisi e le cause che hanno portato a questa situazione sono diverse. Su tutte la frammentazione del tessuto imprenditoriale: in Italia ci sono molte piccole e medie imprese (Pmi), che spesso faticano a fare rete e a collaborare tra loro. Questo rende difficile, per le associazioni di rappresentanza, il compito di tutelare i loro interessi e di promuovere la loro crescita. Oltre a questo, le associazioni imprenditoriali spesso non dispongono di risorse sufficienti per svolgere la loro attività in modo efficace.
Questo è dovuto in parte alla scarsa adesione da parte delle imprese, ma anche al fatto che i governi e le istituzioni pubbliche non finanziano questo tipo di attività come succede, per esempio, per i giornali di partito e nel mondo del cinema. La burocrazia è, oltretutto, un ostacolo sempre più pesante per le imprese e le associazioni che le rappresentano. Le troppe normative, oramai di stampo europeo, e i mille cavilli burocratici rendono difficile la realizzazione di progetti e iniziative, e la contrastante evidenza di disservizi degli apparati statali, anche solo a livello di code e attese nel mondo della sanità pubblica restando nel nostro settore, rende il tutto paradossale.
Di conseguenza, incide molto la disaffezione verso la politica: molti imprenditori sono disaffezionati verso alcune scelte di quella politica nazionale, e di conseguenza delle istituzioni, che dovrebbe garantire e supportare l’economia e quindi tutte le parti coinvolte. Questo li rende meno propensi a partecipare alla vita associativa e a impegnarsi per il bene comune.
È chiaro come la crisi dell’associazionismo imprenditoriale abbia un impatto negativo sull’economia italiana. Le imprese che non fanno parte di un’associazione sono più fragili e più vulnerabili alle crisi. Inoltre, l’associazionismo è un importante strumento per promuovere le competenze e l’innovazione professionale e tecnologica. In mancanza, i settori che ne sono colpiti rischiano d’implodere (come del resto è già successo in passato in diversi ambiti).
A tutto questo, però, si va ad aggiungere un fenomeno ancora più grave, come conseguenza o meno non ha importanza, che è la tendenza a confondere o sovrapporre le figure dell’associazione a quella delle cosiddette “società di servizi”, generando false aspettative e fraintendimenti.
L’associazione: organizzazione al servizio di un fine comune
Un’associazione si configura come un’entità senza scopo di lucro, mossa da un ideale comune che riunisce individui o enti per il perseguimento di finalità sociali, culturali, sportive eccetera. La sua missione è il raggiungimento di obiettivi condivisi, nella creazione di valore collettivo e nel sostegno reciproco tra i membri.
Al contrario, una società di servizi si caratterizza per la sua natura commerciale, operando con l’obiettivo primario di generare profitto per i propri soci anche attraverso l’accesso a prodotti e servizi a costi ridotti. La sua attività si concentra nell’erogazione di servizi a terze parti (es, pubblicità o sponsorizzazioni) oppure, come detto, permettendo l’accesso a servizi, convenzioni agevolate o ad acquisti calmierati, seguendo le classiche regole di mercato.
Quando nel tempo, l’utilità di partecipare alla vita associativa si trasforma in una ricerca di vantaggio economico, fino alla speculazione nei casi più gravi, l’associazionismo muore e nasce la società di servizi. Società di servizi che però, generalmente, viene considerata al prezzo “da associazione” e resa pertanto incapace di competere su mercati sempre più aggressivi e complessi.
Passiamo dall’essere dei sindacalisti ad essere degli imprenditori. Le regole di colpo cambiano. L’idea di sfruttare un’associazione per il tornaconto personale, della serie “se ho un ritorno immediato in termini di prodotti o servizi mi associo oppure no”, non è solo eticamente discutibile all’interno del mondo associativo, ma anche controproducente a lungo termine. E questo vale sia per i suoi associati, sia per chi assiste alla finestra convinto di ottenere, di riflesso, comunque dei vantaggi personali, sia per tutti gli operatori economici che rischiano di essere trascinati verso il basso, in un vortice negativo senza futuro. Un tale approccio mina le fondamenta stesse dell’associazione, ma anche del settore che dovrebbe badare, danneggiandone la coesione, la fiducia e la capacità di raggiungere degli obiettivi vitali.
I vantaggi derivanti da un’associazione non si dovrebbero concretizzare in guadagni economici diretti e personali, bensì in benefici ben più preziosi e duraturi per la propria categoria o settore di appartenenza. Tra questi, l’ampliamento del proprio network professionale, l’acquisizione di nuove competenze, la crescita personale, la protezione del proprio lavoro, la costruzione di un futuro sostenibile ma soprattutto la soddisfazione di contribuire a qualcosa di più grande per sé e per gli altri.
L’approccio corretto da adottare all’interno di un’associazione dovrebbe essere finalizzato unicamente alla collaborazione e al mutuo supporto. Ne sono un esempio emblematico le attività di tutela della categoria a livello fiscale e legale, soprattutto quando un associato, per pochi euro all’anno, si trova la possibilità di chiamare professionisti super specializzati nel nostro settore (avvocati, commercialisti, ma soprattutto colleghi) che lo supportano togliendolo, come spesso accade, anche dai guai. Professionisti che tra un caso e l’altro studiano, approfondiscono e razionalizzano le norme per essere subito di aiuto al settore.
La crisi dell’associazionismo imprenditoriale sta proprio qui: non capendo l’importanza del partecipare, più che del chiedere qualcosa in cambio. È certamente un fenomeno complesso e multiforme e, tornando con i piedi per terra, non esiste una soluzione unica. Sicuramente è necessario però chiarirsi le idee: tenendo conto delle specificità del settore, del momento economico e sociale, e dell’importanza o meno di raggiungere degli obbiettivi più elevati rispetto alla mera soddisfazione del proprio ego personale, quanto è importante partecipare?
L’associazione deve essere messa nelle condizioni di mediare tra le varie personalità e personalismi e trovare una soluzione capace di fare crescere il settore di appartenenza. Superare la crisi è una sfida importante, ma è anche un obbligo morale, soprattutto per rilanciare i settori e proteggerli contro decisioni politiche oramai per lo più delegate all’Europa.
In conclusione, distinguere nettamente tra associazione e società di servizi è fondamentale per evitare di snaturare la vera essenza dell’associazionismo, tornando allo spirito dei nostri nonni e genitori quando nel fare squadra avevano posto tutte le loro speranze, permettendoci in molti casi di giungere fino ad oggi senza troppe ansie.
Solo attraverso la partecipazione, la collaborazione, la condivisione degli obiettivi con un vero spirito di squadra è possibile cogliere i benefici tangibili e intangibili che un’associazione può offrire ai suoi membri e alla collettività.
Tutto il resto è solo business, ma diciamocelo chiaramente.